mercoledì 12 dicembre 2012

Progetti per le famiglie: il nuovo welfare passa per l'associazionismo?


Progetti per le famiglie: il nuovo welfare passa per l'associazionismo?
Andrea Satta e Elisa Giuseppin

La famiglia diviene sempre di più lo snodo delle politiche regionali di welfare. Questa svolta, iniziata ormai da alcuni anni con l'approvazione della L.R. 11/2006, ha visto una sua concreta realizzazione nella erogazione dei contributi legati al Bando Famiglia 2012.
Sabato 29 settembre, alla presenza dell'assessore Roberto Molinaro e dei rappresentanti dell'Area Welfare di Palmanova (Ente gestore del finanziamento), sono state date le prime indicazioni sulla realizzazione dei progetti.
La dott.ssa Carrà dell'Università Cattolica di Milano, ha delineato le prospettive future di integrazione fra sistemi socio-assistenziali e associazionismo familiare. Si tratta di un approccio che affonda le sue radici nel Libro Bianco La vita buona nella società attiva del 2009 in cui la famiglia e la partecipazione degli attori comunitari era stata delineata come possibile risorsa del sistema di welfare.
[la famiglia] è soprattutto il nucleo primario di qualunque Welfare, in grado di tutelare i deboli e di scambiare protezione e cura, perché sistema di relazioni, in cui i soggetti non sono solo portatori di bisogni, ma anche di soluzioni, stimoli e innovazioni.
Il ministro Sacconi aveva individuato l'ossimoro di universalismo selettivo come cardine del sistema misto di welfare.
È un modello che valorizza la responsabilità degli individui e la capacità dell’attore pubblico di stabilire ordini di priorità e dosare le risorse per mantenere il più possibile ampia la platea delle prestazioni e dei beneficiari, nel rispetto degli equilibri finanziari e senza introdurre discontinuità nei trattamenti.
I dati e le tecniche che gli intervenuti al convegno hanno evidenziato come buone prassi, passano tutte attraverso lo spontaneismo familiare che si struttura per divenire associazionismo e poi comunità.
Si passa dunque da una visione assistenziale, in cui professionalità, strutturazione e normazione hanno un peso predominante, ad un sistema che vede nella capacitazione (empowerment) dei fruitori finali il modello predominante.
In questo contesto quale diventa il ruolo dell'operatore, quale quello della cooperazione sociale? Che fine faranno gli investimenti della cooperazione nella formazione? Che fine faranno le risorse umane e finanziarie messe in campo per la crescita dei propri operatori?
La risposta, che solo parzialmente ci soddisfa, è che l'operatore in primis, e poi la cooperazione sociale, debbano diventare degli agenti di stimolo all'autorganizzazione familiare e comunitaria. Ciò significa ridefinire il ruolo dei servizi, la tipologia degli interventi e la destinazione dei finanziamenti in funzione di un welfare ancora da costruire e i cui confini rimangono, nonostante la buona volontà e l'impegno dell'Assessorato alla Famiglia, incerti.
Il bando famiglia, a cui FAI ha partecipato e ottenuto il finanziamento, è così occasione per dimostrare come il welfare aziendale possa divenire una buona prassi di quest'alchimia, ovvero la palestra in cui i soci (familiari e al contempo lavoratori) possano trovare nuove forme di autosostegno, partecipazione e condivisione degli obiettivi generali.
L'ottimo successo del Bando, pubblicato in febbraio, indica come sia forte e presente il bisogno di intervenire in aree scoperte, come ad esempio quelle dedicate all'infanzia e alla formazione, così come appare evidente dalla distribuzione territoriale, la forte vocazione associativa delle Provincie di Pordenone e Udine.
Un punto di forte criticità è dato dalla bassa presenza di cooperative sociali quali soggetti proponenti, evidenziando ancora un forte scollamento fra indirizzi politici e attuazione degli stessi nel contesto cooperativo. Infatti dei 123 progetti approvati, solo 8 sono stati ottenuti dalla cooperazione sociale, nonostante fossero, insieme alle associazioni, i soggetti attuatori del Bando.
C'è da chiedersi quale sia la ragione di questa bassa partecipazione in un momento di forte crisi e di difficoltà di accesso ai finanziamenti. Una prima spiegazione potrebbe stare nella difficoltà delle organizzazioni complesse, e l'impresa sociale sicuramente lo è, a cogliere i cambiamenti in modo veloce e leggero. D'altra parte le cooperative sono oggi i soggetti principali del sistema di welfare locale e il loro coinvolgimento è il criterio guida per la realizzazione del sistema integrato di servizi e interventi, come la L. 328/00 e la L.R. 6/2005 hanno definito ormai da anni. La capacità delle Cooperative di innovare, di competere, di rispondere in modo professionale ai bisogni è uno dei tasselli, forse uno dei più importanti, dell'intero sistema di welfare e la partecipazione a questi processi sistemici non può essere delegata ai rappresentanti dell'associazionismo e del volontariato che hanno altro ruolo e altra capacità di intervento.
In conclusione la partecipazione a progetti che pongano in primo piano la famiglia diviene per le cooperative, e il percorso sulle politiche di conciliazione FAI lo dimostra, un metodo di lavoro in cui è l'empowerment dell'intero sistema aziendale a produrre il vero valore aggiunto per la comunità.

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