Progetti
per le famiglie: il nuovo welfare passa per l'associazionismo?
Andrea
Satta e Elisa Giuseppin
La
famiglia diviene sempre di più lo snodo delle politiche regionali di
welfare. Questa svolta, iniziata ormai da alcuni anni con
l'approvazione della L.R. 11/2006, ha visto una sua concreta
realizzazione nella erogazione dei contributi legati al Bando
Famiglia 2012.
Sabato 29
settembre, alla presenza dell'assessore Roberto Molinaro e dei
rappresentanti dell'Area Welfare di Palmanova (Ente gestore del
finanziamento), sono state date le prime indicazioni sulla
realizzazione dei progetti.
La
dott.ssa Carrà dell'Università Cattolica di Milano, ha delineato le
prospettive future di integrazione fra sistemi socio-assistenziali e
associazionismo familiare. Si tratta di un approccio che affonda le
sue radici nel Libro Bianco La vita buona nella società attiva
del 2009 in cui la famiglia e la partecipazione degli attori
comunitari era stata delineata come possibile risorsa del sistema di
welfare.
[la famiglia] è soprattutto il nucleo primario di
qualunque Welfare, in grado di tutelare i deboli e di scambiare
protezione e cura, perché sistema di relazioni, in cui i soggetti
non sono solo portatori di bisogni, ma anche di soluzioni, stimoli e
innovazioni.
Il
ministro Sacconi aveva individuato l'ossimoro di universalismo
selettivo come cardine del sistema misto di welfare.
È un modello che valorizza la responsabilità degli
individui e la capacità dell’attore pubblico di stabilire ordini
di priorità e dosare le risorse per mantenere il più possibile
ampia la platea delle prestazioni e dei beneficiari, nel rispetto
degli equilibri finanziari e senza introdurre discontinuità nei
trattamenti.
I dati e
le tecniche che gli intervenuti al convegno hanno evidenziato come
buone prassi, passano tutte attraverso lo spontaneismo familiare che
si struttura per divenire associazionismo e poi comunità.
Si passa
dunque da una visione assistenziale, in cui professionalità,
strutturazione e normazione hanno un peso predominante, ad un sistema
che vede nella capacitazione (empowerment) dei fruitori finali il
modello predominante.
In questo
contesto quale diventa il ruolo dell'operatore, quale quello della
cooperazione sociale? Che fine faranno gli investimenti della
cooperazione nella formazione? Che fine faranno le risorse umane e
finanziarie messe in campo per la crescita dei propri operatori?
La
risposta, che solo parzialmente ci soddisfa, è che l'operatore in
primis, e poi la cooperazione sociale, debbano diventare degli agenti
di stimolo all'autorganizzazione familiare e comunitaria. Ciò
significa ridefinire il ruolo dei servizi, la tipologia degli
interventi e la destinazione dei finanziamenti in funzione di un
welfare ancora da costruire e i cui confini rimangono, nonostante la
buona volontà e l'impegno dell'Assessorato alla Famiglia, incerti.
Il bando
famiglia, a cui FAI ha partecipato e ottenuto il finanziamento, è
così occasione per dimostrare come il welfare aziendale possa
divenire una buona prassi di quest'alchimia, ovvero la palestra in
cui i soci (familiari e al contempo lavoratori) possano trovare nuove
forme di autosostegno, partecipazione e condivisione degli obiettivi
generali.
L'ottimo
successo del Bando, pubblicato in febbraio, indica come sia forte e
presente il bisogno di intervenire in aree scoperte, come ad esempio
quelle dedicate all'infanzia e alla formazione, così come appare
evidente dalla distribuzione territoriale, la forte vocazione
associativa delle Provincie di Pordenone e Udine.
Un punto
di forte criticità è dato dalla bassa presenza di cooperative
sociali quali soggetti proponenti, evidenziando ancora un forte
scollamento fra indirizzi politici e attuazione degli stessi nel
contesto cooperativo. Infatti dei 123 progetti approvati, solo 8 sono
stati ottenuti dalla cooperazione sociale, nonostante fossero,
insieme alle associazioni, i soggetti attuatori del Bando.
C'è da
chiedersi quale sia la ragione di questa bassa partecipazione in un
momento di forte crisi e di difficoltà di accesso ai finanziamenti.
Una prima spiegazione potrebbe stare nella difficoltà delle
organizzazioni complesse, e l'impresa sociale sicuramente lo è, a
cogliere i cambiamenti in modo veloce e leggero. D'altra parte le
cooperative sono oggi i soggetti principali del sistema di welfare
locale e il loro coinvolgimento è il criterio guida per la
realizzazione del sistema integrato di servizi e interventi, come la
L. 328/00 e la L.R. 6/2005 hanno definito ormai da anni. La capacità
delle Cooperative di innovare, di competere, di rispondere in modo
professionale ai bisogni è uno dei tasselli, forse uno dei più
importanti, dell'intero sistema di welfare e la partecipazione a
questi processi sistemici non può essere delegata ai rappresentanti
dell'associazionismo e del volontariato che hanno altro ruolo e altra
capacità di intervento.
In
conclusione la partecipazione a progetti che pongano in primo piano
la famiglia diviene per le cooperative, e il percorso sulle politiche
di conciliazione FAI lo dimostra, un metodo di lavoro in cui è
l'empowerment dell'intero sistema aziendale a produrre il vero valore
aggiunto per la comunità.
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